Domande frequenti sul gioco d’azzardo

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È un’attività ludica che ha tre caratteristiche fondamentali:

  • si gioca per ottenere un premio (denaro, beni materiali, buoni ecc.);
  • per giocare si deve rischiare una somma più o meno ingente di denaro o beni equivalenti (casa, macchina, ecc.);
  • la vincita dipende più dal caso che dalla bravura del giocatore.

No. Il gioco problematico è un problema emozionale e comportamentale che ha ricadute economiche. Anche se tutti i debiti di un giocatore venissero saldati, il problema non sarebbe risolto, perché è legato ad un’incontrollabile ossessione rispetto al gioco.

Dal 2012 il Gioco d’Azzardo Problematico (GAP) è riconosciuto come una malattia dal Ministero della Salute ed è stata inserita all’interno dei LEA (Livelli essenziali di assistenza sanitaria).

L’inserimento ha reso gratuite le prestazioni rese dal Servizio Sanitario Nazionale. È una malattia molto pericolosa e perfino mortale. Il suicidio, tra le persone che ne sono affette è quattro volte superiore alla media. Come in ogni malattia, anche il gioco d’azzardo ha tre categorie di sintomi: fisici, psichici e sociali.

Essere dipendenti dal gioco d’azzardo può danneggiare seriamente la salute fisica e mentale del giocatore e di chi gli sta intorno.  Un problema frequentemente correlato al gioco d’azzardo è la perdita delle relazioni sociali, la presenza di scarsi risultati scolastici e, nei casi più gravi, la commissione di crimini per alimentare la dipendenza. Un giocatore problematico potrebbe soffrire di depressione e ansia, non essere in grado di rendere conto dei soldi che ha speso, mentire sul luogo in cui si trova e trascorrere meno tempo con amici e familiari.

Anche se non vengono ingerite sostanze, il giocatore problematico ricerca sensazioni paragonabili a quelle di chi assume un tranquillante o consuma una bevanda alcolica. Il gioco eccessivo altera l’equilibrio della persona, che ripete il comportamento di gioco per provare nuovamente sensazioni superficialmente piacevoli. Tuttavia, proprio come avviene per il consumo di alcol e droghe, il giocatore patologico deve giocare sempre di più per raggiungere le sensazioni piacevoli che lo hanno condotto alla dipendenza. Ciò crea una crescente compulsione al gioco ed egli trova sempre più difficile resistere alla tentazione di giocare con intensità e frequenza via via maggiori.

No. Molte persone con problemi di gioco d’azzardo, prima di cadere nella dipendenza, venivano considerate responsabili e mature dai famigliari e dagli amici. Determinati accadimenti esistenziali possono causare cambiamenti nel comportamento anche nei soggetti più insospettabili.

Chiunque può sviluppare un gioco d’azzardo problematico.

Nei giovani due fattori che sembrano aumentare questo rischio sono:

  • un familiare con un problema da gioco d’azzardo patologico,
  • un’iniziazione precoce al gioco.

Non necessariamente. Molte persone che giocano spesso sono semplicemente degli appassionati. Generalmente, questi individui stabiliscono di investire nel gioco una somma predeterminata di denaro e giocano per divertirsi piuttosto che per inseguire a tutti i costi la vincita. Essi riconoscono l’esistenza della probabilità di perdere e non scommettono più di quanto possano permettersi.

È anche possibile sviluppare problemi con il gioco d’azzardo senza essere un giocatore problematico. È quello che accade quando una persona perde molti soldi al casinò in seguito ad un evento particolare della sua vita che lo ha spinto ad un comportamento sconsiderato, ma episodico. Quasi sempre problemi del genere si risolvono da soli, senza il bisogno di un intervento professionale. È sempre consigliato chiedere un consulto ad un professionista.

Un determinato ammontare di denaro perso o vinto non è di per sé indicativo dell’insorgere di un problema di gioco. Il gioco diventa problematico quando incide negativamente in più ambiti della vita di un individuo (ad es. relazioni affettive, lavoro, etc.).

giocatori problematici sono attratti da differenti forme di gioco e per motivi diversi tra loro. Alcuni sono colpiti dagli stimoli sensoriali dei giochi elettronici basati esclusivamente sulla fortuna (video-slot), altri dalla percezione di poter dimostrare la propria abilità nel gioco delle carte o nelle scommesse sportive. Altri ancora sono affascinati dai soldi, apparentemente facili, che si possono guadagnare rapidamente con investimenti ad alto rischio. Molti, se non la maggioranza, dei giocatori problematici si dedicano ad una o più forme di gioco d’azzardo. Tuttavia, studi specifici hanno dimostrato come tra i giochi preferiti dai soggetti patologici vi siano le slot machines, i giochi con le carte e le scommesse sportive.

Alcuni tipi di giochi d’azzardo hanno caratteristiche intrinseche che finiscono per acutizzare i problemi dei giocatori problematici. Anche se gli studi sono in una fase iniziale, pare evidente che la velocità di gioco è un fattore rilevante. In altre parole, più rapida è la sequenza con cui è possibile puntare o scommettere e più facilmente un individuo svilupperà un rapporto problematico con un determinato gioco.  

Uno dei processi che sta alla base della dipendenza è l’apprendimento e la memorizzazione di associazioni tra stimoli, che porta all’attivazione di risposte comportamentali anche quando sono disfunzionali. La sostanza che permette tutto questo si chiama dopamina ed è un neurotrasmettitore coinvolto nei circuiti della gratificazione e della motivazione (in altre parole, del piacere).

Uno studio effettuato nel 2011 con la PET (tomografia ad emissione di positroni) sugli effetti delle slot machine ha messo in evidenza che gli effetti del gioco d’azzardo, a livello cerebrale, sono i medesimi sia per i giochi ad alta ricompensa che per quelli a bassa ricompensa, sia nei giocatori patologici che nei soggetti sani. Questo significa due cose:

  1. che il giocatore d’azzardo prova piacere indipendentemente dal guadagno o dalla perdita;
  2. che il gioco d’azzardo ha un potenziale di “uncinamento” molto simile a quello delle sostanze come la cocaina.

Pertanto, le strutture cerebrali implicate nel gioco d’azzardo patologico, le sostanze rilasciate e maggiormente disponibili legate alle sensazioni di piacere (dopamina) e le forti pulsioni verso il gioco ci dipingono uno scenario molto simile alla dipendenza da sostanze stupefacenti, anche in relazione alle diminuite capacità della corteccia prefrontale, quella struttura del cervello che modula gli istinti e ci fa prendere decisioni vantaggiose.

La frequenza con cui una persona gioca non è decisiva per stabilire se esista o meno un problema di gioco. Anche se il problema si manifesta solo periodicamente, le conseguenze psicologiche ed economiche possono essere comunque talmente pesanti da incidere negativamente sulla vita del giocatore  e della sua famiglia.

È generalmente accettato che le persone che sviluppano una dipendenza siano a rischio di svilupparne un’altra (ad esempio, il consumo di alcol e droghe). Non si tratta tuttavia di una correlazione obbligatoria. Molti giocatori problematici non vivono altre esperienze di dipendenza, perché non esistono sostanze ed attività in grado di suscitare in loro le stesse sensazioni prodotte dal gioco.

I dati evidenziano piuttosto l’importanza degli antecedenti famigliari, infatti, spesso uno o entrambi i genitori di un giocatore patologico sono stati a loro volta dipendenti dall’alcol, da sostanze o dal gioco.

Così come esistono bevitori sociali e fumatori occasionali, esistono i giocatori sociali, per i quali il gioco d’azzardo rimane un divertimento.

Per alcune persone, tuttavia, quello che sembrava un’abitudine, spesso definita erroneamente “vizio”, si trasforma in una vera e propria “schiavitù”. Alcuni di queste persone hanno una predisposizione alla dipendenza per fattori di natura biologica, ambientale e psicologica.

Il fumo, l’alcol, il gioco d’azzardo rimangono una semplice “abitudine”, per quanto criticabile, finché non insorgono le caratteristiche tipiche della dipendenza e cioè:

  • la tolleranza: il bisogno di giocare di più per ottenere lo stesso livello di eccitamento,
  • l’astinenza: nervosismo, ansia, tremori se si tenta di smettere,
  • la perdita di controllo: si pensa di poter smettere, ma senza riuscirci.

Va inoltre aggiunto che la malattia, a differenza del “vizio” produce certamente un danno concreto alla persona. Prima di tutto sulla salute e nel caso del gioco anche economico e relazionale.

Alcuni studiosi hanno identificato 5 fasi nello sviluppo di un gioco d’azzardo problematico:

  1. Fase vincente: il Giocatore si diverte ed è gratificato dall’azzardo. Spesso vince, prova eccitazione e tensione fisica reale. Si sente onnipotente e sottovaluta i rischi,
  2. Fase perdente: la fortuna gira e il giocatore comincia a perdere. Il divertimento e l’abitudine, possono trasformarsi in tristezza. Questa è una fase di forte rischio,
  3. Fase di disperazione: il tempo ed il denaro destinati al gioco crescono e con essi i debiti e la depressione,
  4. Fase critica: il giocatore vede il gioco come unica forma di riscatto per pagare i debiti contratti, rimettere in sesto la propria situazione economica e le relazioni che si sono ormai deteriorate. Ma non è così: egli è ormai entrato in un circolo vizioso che lo porta a pensare solo come procurarsi, non sempre legalmente, il denaro per giocare, rincorrendo le perdite. In questa fase:
    • si distruggono le relazioni,
    • lo stress di chi vede la propria vita crollare ha come conseguenza molti disturbi fisici: emicranie, ulcere, malattie cardiache, insonnia, coliti, dolori di stomaco, etc,
    • si può verificare lo sviluppo di una co-dipendenza: il giocatore malato cade di frequente in più dipendenze, soprattutto quelle da alcol e droga.
  5. Fase di crescita: il recupero della persona, che può riuscire soltanto con una terapia adeguata di cura e sostegno.

 

Sì. Ma è necessario un intervento terapeutico strutturato, perché siamo di fronte ad una malattia cronica, come tutte le dipendenze.

Con trattamenti multiprofessionali e integrati.
La persona dipendente solitamente tende a negare o minimizzare il problema e credere che “se solo volessi, potrei smettere… domani...”

Il primo compito dello specialista è quello di aumentare il livello di consapevolezza della malattia e motivazione alla terapia con una serie di colloqui (individuali o di gruppo).

Il passo successivo è la stipula di un contratto terapeutico tra il paziente, la famiglia e il terapeuta, che prevede la definizione del programma di interventi.

Esso può prevedere:

  • Coinvolgimento della famiglia nella gestione terapeutica del paziente e aiuto per far conoscere questa particolare malattia,
  • colloqui individuali,
  • gruppi psicoterapeutici e psico-educazionali,
  • gruppi per i familiari,
  • Tutoraggio economico per il piano di risanamento dei debiti,
  • Interventi sociali per affrontare le eventuali questioni legali e socio-economiche (consulenze del Difensore Civico, di uno Studio legale, di uno Studio Commerciale, della Fondazione Antiusura, del Microcredito, ecc.),
  • Attivazione di una rete di sostegno sociale istituzionale e del volontariato (Caritas, Servizio Sociale Comunale, Gruppi di auto-aiuto, Associazioni di volontariato, Enti ausiliari, ecc.), se è necessario,
  • terapia psicofarmacologica (solo se strettamente necessaria).

I giochi presenti su Facebook, o in altri social network, possono iniziare il minore all’azzardo, tuttavia è davvero importante che i giocatori comprendano sin da subito che le probabilità di vincita offerte nei contesti virtuali spesso non sono le stesse di quelle dei giochi “reali”, di solito sono migliori. 

Ciò significa che il giovane ha maggiori probabilità di vincere sui giochi proposti nei social network piuttosto che nel gioco “reale”. Non vi sono ancora ricerche chiare sul fatto che questa attività porti certamente ad un gioco d’azzardo problematico.

Teoricamente, i videogiochi potrebbero avere sia la capacità di rendere manifesto un carattere aggressivo (si consideri a tal proposito la teoria dell’apprendimento sociale) sia quella di favorire una diminuzione delle tendenze aggressive (come previsto dalla teoria della catarsi). In altre parole, la teoria dell’apprendimento sociale suggerisce che i bambini imitano ciò che vedono sullo schermo. Diversamente, la teoria della catarsi suggerisce che il giocare a videogiochi aggressivi incanalerebbe l’aggressività latente avendo su di essa un effetto positivo sul comportamento.

Le ricerche finora svolte suggeriscono, a livello teorico, che vi siano più prove empiriche a supporto della teoria dell’apprendimento sociale rispetto alla teoria della catarsi, in particolare nei bambini più piccoli. Non ci sono prove che i videogiochi violenti abbiano alcun effetto sul comportamento degli adulti (sebbene si debba sottolineare che ci sono pochissimi studi che utilizzano un campione adulto).

In generale la ricerca sugli effetti sul comportamento aggressivo dell’esposizione a lungo termine ai videogiochi successivo è ancora carente per poter esprimere un parere scientificamente fondato.

Per cominciare, dovresti scoprire a quali videogiochi sta giocando tuo figlio.

Potresti scoprire che alcuni di essi hanno dei contenuti che preferiresti che lui non vedesse. In questo caso parlane con lui e, se è il caso, metti alcune regole.

Durante questa discussione i tuoi obiettivi dovrebbero essere:

  • aiutarlo a scegliere dei giochi adatti alla sua età che siano altrettanto divertenti;
  • parlare con lui del contenuto dei giochi in modo che comprenda la differenza tra finzione e realtà;
  • scoraggiare il gioco solitario;
  • proteggerlo dall’idea ossessiva di giocare;
  • seguire le raccomandazioni sui possibili rischi delineati dai produttori di videogiochi (es. tenere la distanza di circa un metro dallo schermo della TV, etc.);
  • assicurarti che lui sia impegnato – oltre ai videogiochi – in altre attività durante il tempo libero.

 Ricorda che, nel giusto contesto, i videogiochi possono essere educativi (ad esempio aiutano i bambini a pensare e apprendere più rapidamente), possono aiutare ad aumentare l’autostima dei bambini e possono aumentare la velocità dei loro tempi di reazione.

Ricorda però che giocare ai videogiochi è solo una delle tante attività che un bambino può fare, insieme ad attività sportive, leggere e guardare la televisione.

Questa lista ti aiuterà a capire se il gioco di tuo figlio gli sta sfuggendo di mano. Sbarra ogni casella che presenta le caratteristiche descritte:

☐ Gioca quasi ogni giorno?

☐ Spesso gioca per lungo tempo (oltre tre ore)?

☐ Gli piace l’eccitazione legata al gioco?

☐ Diventa irrequieto e irritabile se non può giocare?

☐ Sacrifica attività sociali e sportive per giocare?

☐ Gioca invece di fare i compiti?

☐ Prova a ridurre il gioco ma non ci riesce?

Se hai risposto SI ad almeno 4 di queste domande allora tuo/a figlio/a potrebbe giocare in modo eccessivo.

  • Controlla e regola il contenuto dei giochi,
  • Proponi a tuo figlio giochi educativi,
  • Cerca di incoraggiare il fatto che tuo figlio giochi in gruppo (anche con un videogioco) piuttosto che da solo,
  • Stabilisci delle fasce orarie in cui è possibile giocare, ad esempio, digli che può giocare una o due ore dopo aver fatto i compiti, ma che non può farlo prima di aver finito,
  • Se quanto detto prima non funziona, togli temporaneamente la console di gioco e poi restituiscila, se è il caso, solo per un determinato periodo di tempo al giorno.